Il diritto all’oblio è previsto dall’art. 17 del GDPR 2016/679 e consiste nel diritto alla cancellazione dei propri dati personali. Configura cioè la possibilità di ottenere la rimozione delle proprie informazioni personali da siti web, motori di ricerca o altre piattaforme pubbliche o private ogniqualvolta vengano integrati determinati presupposti, con l’ulteriore garanzia che tali informazioni non vengano nuovamente trattate.

Particolare rilievo assume il  par. 1, lett. a), dell’art. 17 GDPR, ossia quando “i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati”. In altri termini, quando il trascorrere del tempo fa sì che non vi sia più alcun interesse al trattamento di quelle informazioni. 

Questo, infatti, è uno dei diritti in materia di protezione dei dati personali che maggiormente incide sulla quotidianità di un soggetto nell’era della digitalizzazione, soprattutto se si pensa ai risvolti sociali e psicologici che può avere il fatto di reperire online informazioni su sé stessi che non vorremmo più vedere. In ambito penale, le conseguenze della mediatizzazione della giustizia hanno peraltro risvolti particolarmente duri sul soggetto; il coinvolgimento in un procedimento ha un impatto immediato sulla dimensione intima della persona e sulla sua immagine sociale, ossia la sua reputazione.

I c.d. processi mediatici che danno vita a dibattiti pubblici sulla colpevolezza o meno dell’indagato, andando il più delle volte ad anticipare l’ingresso nelle competenti sedi, conducono spesso alla pronuncia di sentenze definitive che marchiano il soggetto. Con l’avvento dei social network, le “aule” pubbliche sono poi diventate pressoché sconfinate.

Ebbene, in un tale contesto il diritto all’oblio può intervenire in modo decisivo, soprattutto se si considera un altro aspetto – talvolta sottovalutato – della mediatizzazione dei processi: può accadere anche che non sia sufficiente l’archiviazione di un caso o una sentenza di assoluzione con formula piena per “ripulire” il soggetto davanti alla società. Su questo punto l’ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione del 20 marzo 2018, n. 6919 ha definito alcuni criteri per il bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto di cronaca. La Suprema Corte ha ritenuto che quest’ultimo possa prevalere soltanto in presenza di determinate condizioni: il contributo della diffusione della notizia ad un dibattito di interesse pubblico, l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione, la notorietà del soggetto rappresentato, le modalità della notizia, e la preventiva informazione dell’interessato per permettergli di replicare prima della divulgazione.

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