Il Garante della privacy lancia un allarme sulla norma (articolo 14) contenuta nella memoria trasmessa alla commissione Finanze della Camera, che consente la memorizzazione dei file delle fatture elettroniche per gli otto anni successivi a quello di presentazione della dichiarazione di riferimento o alla conclusione di eventuali giudizi. La memorizzazione è finalizzata alla valutazione del rischio-evasione e ai controlli fiscali da parte di Guardia di finanza e Agenzia delle Entrate e all’assolvimento delle funzioni di polizia economica e finanziaria da parte delle Fiamme gialle.
Di fatto, l’archiviazione integrale di tutte le e-fatture emesse e ricevute, compresi i dati non fiscalmente rilevanti e quelli relativi alle prestazioni fornite, è «sproporzionata». E, come tale, rischia di entrare in contrasto con il “principio di proporzionalità” dei dati indicato come parametro di riferimento dalla Corte di giustizia Ue. Inoltre, le misure per evitare che un patrimonio informativo così sensibile sia esposto a rischi di «esfiltrazione o attacchi informatici» dovrebbero essere individuate con atto normativo e non con provvedimenti di Guardia di finanza e Agenzia delle Entrate.
Il Garante, infatti, ricorda di aver posto l’accento sulla “proporzionalità” ancor prima della modifica normativa in occasione dei pareri (datati 18 novembre e 20 dicembre 2018) al provvedimento delle Entrate sull’avvio della fattura elettronica obbligatoria tra “privati”.
Per giunta, il Garante evidenzia come i controlli automatizzati e l’analisi del rischio ai fini antievasione richiedono la memorizzazione e l’elaborazione massiva dei dati estratti dalle e-fatture, tra cui «non dovrebbe rientrare il campo del file Xml contenente la descrizione dell’operazione oggetto di fattura».
Difatti, tale campo «non si presta ad elaborazioni massive, essendo un campo a testo libero e non strutturato, che richiede, invece, un esame puntuale, caso per caso, del contenuto», in quanto contiene «significativi dati di dettaglio» relativi alla natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi fatturati e «presentare, quindi, rischi elevati per gli interessati»,
Mentre in relazione ai controlli puntuali che possono richiedere l’esame analitico delle fatture, la memoria del Garante riporta il dato fornito dalle Entrate in occasione dei pareri dello scorso anno, ossia che «negli anni 2016 e 2017, sono stati effettuati, rispettivamente, 121.849 e 163.339 accertamenti nei confronti di contribuenti Iva, a fronte di 4,7 milioni di soggetti che hanno presentato la dichiarazione Iva».
Da qui si evince senza alcun dubbio una conservazione di dati «sproporzionata», tanto che l’Autority chiede di valutare in sede di conversione del decreto «l’effettiva necessità dell’archiviazione integrale dei dati di fatturazione» per la durata prevista.
Con l’auspicio di «acquisire dal Governo elementi idonei a superare le criticità» rappresentate nei pareri forniti nel 2018, «valutando se la conservazione di un novero così esteso di dati sia realmente funzionale al perseguimento delle finalità considerate e non sostituibile con misure parimenti efficaci ma meno invasive o anche solo con l’oscuramento di dati irrilevanti eventualmente presenti nelle fatture».